Malloreddus integrali con vongole, gamberi e zucchine alla curcuma:la ricetta di Fintzas a coi
26 Luglio 2018 Autore: Valentina Cugusi 1
Malloreddus integrali con vongole, gamberi e zucchine alla curcuma
E’ questa la ricetta che ci propone Flora Sicbaldi aka Fintzas_a_coi foodblogger atipica, lontana dalle luci della ribalta ma stimata da chef e produttori per la coscienza che la guida nella preparazione di un piatto e la ricerca di ingredienti autentici.
La sua cucina, intesa ad accogliere più che stupire o sposare le tendenze, è capace di trasmettere emozioni e far rivivere ricordi fin dalla descrizione dell’ambiente domestico.
Poco attenta per scelta alla grammatica di Google, scrive anche per trasmettere l’amore per la Sardegna, un ecosistema che definisce variegato e in grado di dare agli abitanti tutto ciò che serve per seguire una dieta sana e varia, senza ricorrere al cibo di importazione, se non in casi obbligati.
Ingredienti per 4 persone:
- 250 gr di Malloreddus integrali La Casa del Grano
- 3 zucchine
- 1 cipollotto
- 1 spicchio d’aglio
- 800 gr di vongole già spurgate
- 12 gamberi
- 20 pomodorini cherry
- 1 cucchiaio di curcuma
- olio evo, sale e pepe q.b.
Tutti gli ingredienti utilizzati sono di produzione e origine locale (Sardegna) tranne il pepe nero e la curcuma.
Procedimento
Mondare le zucchine, lavarle e grattugiarle (questo renderà la cottura ancora più veloce, e il sapore più intenso); mondare il cipollotto e l’aglio e tritarli finemente.
Rosolare le verdure con un filo d’olio evo in un tegame capiente (vi si dovrà dopo saltare la pasta), avendo cura di non bruciarle (aggiungere inizialmente un goccio d’acqua per farle appassire); saranno sufficienti cinque minuti. Spegnere e aggiungere la curcuma.
Mentre le zucchine cuociono, far aprire le vongole in un tegame coperto, senza alcun condimento. Farle intiepidire e eliminare le valve (i gusci…), tenedone se mai da parte qualcuna per la presentazione del piatto. Aggiungerle alle verdure.
Pulire i gamberi, privandoli del carapace e dell’intestino (mi raccomando! Spesso mi capita di sentire che questo passaggio è omesso per pigrizia…) e lavarli.
Lavare i pomodorini e tagliarli a metà. Disporli con la parte interna rivolta verso il fondo di una padella unta e farli caramellare a fuoco dolce, quindi girarli ad uno ad uno per abbrustolire anche l’esterno. Salarli leggermente. Unirli alle zucchine. Nella stessa padella, cuocere brevemente i gamberi, trenta secondi per lato, e tenerli da parte.
Cuocere la pasta prescelta in abbondante acqua salata. Scolarla e unirla agli altri ingredienti, facendola insaporire per qualche minuto
Impiattare avendo cura di aggiungere i gamberi in bella vista e qualche valva di vongola per una gradevole presentazione.
Prima di cominciare, perché hai deciso chiamare il tuo blog “Fintzas a coi”?
In questo nome è racchiuso il grande segreto della nostra saggezza popolare riguardo al cibo, e anche il mio atteggiamento: il proverbio recita “Famini fintzas a coi no est famini malu” cioè “La fame, con la consapevolezza che qualcosa cuoce (in pentola), non è una fame cattiva”; sai che qualcosa arriverà a sfamarti e devi solo essere paziente.
La pazienza, l’attesa, sono altri due ingredienti importanti e, anch’essi, sottovalutati, a tavola
Quando hai cominciato a cucinare?
Sono cresciuta in una casa in cui si è sempre cucinato molto e molto bene, non solo per sfamare ma soprattutto per accogliere. Trascorrevo molto tempo in cucina, fisicamente (facevo volentieri anche i compiti e mi rassicurava il tepore ed il profumo di quella stanza).
Fin da piccola mamma mi ha assegnato degli incarichi come spazzolare le patate, grattugiare le scorze, mescolare le salse, rompere le uova, selezionare le lenticchie, sgranare i fagioli e assaggiare “per vedere se è insipido”, con la raccomandazione di osservare con attenzione tutto quanto.
“Non si impara senza prima guardare e non si impara se non si parte da zero”, mi ha sempre ripetuto. Questa dimensione domestica della cucina ha segnato la mia percezione delle procedure e dei ritmi: sono cresciuta credendo che in tutte le case si cucinasse e si gustassero prelibatezze.
E sono cresciuta credendo che in ogni casa si praticassero dei riti antichi e stagionali come preparare i ravioli o i dolci o le conserve in determinati periodi dell’anno, e solo in quelli. Ora so che non è così e vorrei contribuire un poco a fare in modo che lo fosse.
Raccontaci il tuo primo disastro in cucina.
Verso gli otto anni, sentendomi “pronta”, decisi di friggere un uovo approfittando dell’assenza dei miei genitori. Mi inebriava l’idea di essere finalmente al comando dei fornelli, senza una guida.
Feci arroventare un litro d’olio d’oliva in un tegame e ci ruppi dentro un uovo appena tolto dal frigorifero, con gli esiti che puoi facilmente immaginare… Quella volta la punizione arrivò per il disastro in cucina, la perdita del prezioso olio e soprattutto la mia presunzione!
Cosa non deve mai mancare nella tua dispensa?
L’olio ed il pane. Non riesco a concepire la vita senza questi due alimenti ai quali attribuisco una valenza sacra. Bastano a loro stessi, ed insieme costituiscono un pasto mistico.
Il tuo piatto della memoria
Potrei scrivere un intero ricettario perché, come dicevo prima, la mia memoria è intrisa di ricordi di cucina. Se devo scegliere, allora sono forse due profumi che mi vengono in mente: quello del “sugo” (al pomodoro!) e quello del brodo: due preparazioni apparentemente semplici che invece necessitano di cura ed attenzione, di tempo. Il loro profumo è evocativo di domeniche e vigilie…
Nel tuo blog poni spesso l’accento sull’importanza di avere rispetto dei prodotti locali e di preferire ingredienti semplici a scapito delle tendenze del momento. Sei una foodblogger atipica…
Diciamo che ho un atteggiamento rigoroso riguardo a certi aspetti della cucina che interessano contemporaneamente l’economia (anche domestica), la salute e gli aspetti culturali ed antropologici del cibo.
Mi sento fortunata a vivere in un ecosistema come la Sardegna che, con le sue biodiversità e con l’adeguata tutela della cultura legata alla fruizione di tali biodiversità, ci consente di avere una dieta varia e gustosa senza che dobbiamo necessariamente consumare cibo importato.
Abbiamo una ricchezza enorme e penso sia doveroso incentivarla e sfruttarla prioritariamente. Le “tendenze del momento” spesso sovvertono gli ordini e creano degli squilibri dannosissimi da un punto di vista economico ed ecologico: basti pensare al disastro ambientale che stanno creando le coltivazioni intensive come avocados, quinoa e palme da olio per soddisfare una richiesta insostenibile per quei territori, atavicamente poveri, che vedono una opportunità di arricchimento nella conversione di tutte le coltivazioni.
Ho paura di immaginare lo scenario quando le “tendenze del momento” cambieranno… E intanto, il nostro grano marcisce nei silos!
Se potessi dare un contributo alla diffusione di un concetto più “etico” di cio che mangiamo tutti i giorni, cosa faresti?
Farei quello che faccio: non perdere occasione per raccontare come si possa, da consumatori, esercitare il proprio potere d’acquisto mettendo in pratica dei comportamenti precisi, con consapevolezza appunto. So che a molti potrà sembrare ingenuo o utopistico ma io penso sia la strada giusta.
Le mie regole sono: di stagione, locale, vicino (il più possibile, anche quando non è locale), etico per l’ambiente e per l’uomo (sia per chi lo produce che per chi lo consuma). Seguendo questa strada, orientarsi diventa abbastanza semplice. Fragole a Natale? Non ne compro! Panettone ad agosto?! Non ne compro! Arance straniere? Non ne compro! Pane precotto? Non ne compro. Prodotti ortofrutticoli con imballaggio o sottocosto? Non ne compro! E così via.
In questo modo aiuto il mercato locale, risparmio, riduco il mio impatto sull’ambiente, non mi annoio, consumo gli alimenti nel momento in cui sono più buoni, e mi garantisco una dieta varia. Inoltre: riduco le quantità, il che è etico e salutare in generale.
Se ognuno di noi facesse questo genere di scelte, imporremmo al mercato dei cambiamenti ed è possibile che perderemmo dei posti di lavoro ma ne guadagneremmo degli altri, trovando un equilibrio vantaggioso per tutti.
Cosa fa di un prodotto agroalimentare un’eccellenza, secondo te?
Proprio la biodiversità di cui parlavamo prima. L’unicità, le qualità peculiari. La selezione attraverso l’oculato lavoro dell’uomo (competenza, esperienza, tradizione) nell’ambito di un territorio specifico. Quello e non un altro!
Noi siamo quello che mangiamo, ma mangiamo quello che siamo, anche. La capacità di far fruttare la terra rispettandola e assecondandone i ritmi ci garantisce prodotti eccellenti che racchiudono in sé tutti i caratteri unici di un territorio: sinceramente, non credo che un vigneto Semidano, trapiantato in California, potrebbe dare lo stesso vino.
O una pecora nera di Arbus potrebbe dare lo stesso latte se pascolasse in Irlanda. L’eccellenza è un’ alchimia.
Hai un’idiosincrasia in cucina?
Tutto quello che riguarda la moderna ristorazione professionale: trovo inutile voler cercare di riprodurre tra le pareti domestiche un tipo di cucina costosa, difficile, tecnicamente complicata, lunga, troppo distante dalle esigenze quotidiane.
E anche quando ho ospiti, preferisco fare in modo che si sentano accolti con cura in una casa, con la zuppiera e i piatti da portata. Lascio volentieri ai cuochi l’onere della ristorazione che, peraltro, anche io mi godo volentieri fuori da casa.
Il tuo cavallo di battaglia?
Penso che sia troppo presto per dirlo e che non spetti a me giudicare. Forse, alla fine della vita, altri diranno che cosa mi riusciva meglio… Spero ricorderanno un profumo, ecco!
Vuoi regalare un consiglio di cucina ai lettori del blog?
Sì. usare di più l’acqua. Un goccio d’acqua risolve tanti problemi: amalgama, evita che un cibo si attacchi, rende fluido un composto, riequilibra il salato, aiuta a diminuire l’utilizzo dei grassi. L’acqua è un ingrediente sottovalutato…
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